domenica 12 febbraio 2012

W.Ciusa, Che cosa insegnano le previsioni sbagliate

Che cosa possono insegnarci oggi le previsioni sbagliate del passato 

Walter Ciusa
  
Walter Ciusa (1906-1989) è stato professore ordinario dal 1953 al 1976, poi professore emerito di Merceologia nell'Università di Bologna. L'articolo che segue è apparso in: E.M. Pizzoli, O. De Marco, V. Spada (a cura di), “Merci per il futuro: una sfida per la merceologia (Atti del IV Congresso Internazionale di Merceologia. Bari. 26-29 settembre 1983)”, Bari, Laterza, 1985, pp. 3-10; fu poi ristampato in: Quaderni di Storia ecologica (Milano), 2, (3), 71-89 (aprile-giugno 1993).
  
Il contenuto di questa relazione vuole collegarsi ad una delle finalità del presente Congresso, che è quella di prendere in esame le «Merci per il futuro», il che equivale a formulare delle previsioni, delle quali è fondamentale studiare la validità. Per questo, mi è sembrato interessante illustrare storicamente alcune previsioni del passato, per cercare di trame qualche insegnamento: a questo proposito Bacone sosteneva che la storia insegna agli uomini il modo di vivere, anche se tutti sappiamo che la storia è uno  straordinario racconto e non una “morale», per cui l'umanità continua a ripetere sempre gli stessi errori.

Sapere che cosa succederà in futuro è stata da sempre un'aspirazione dell 'uomo; è noto che nell'antichità gli auguri e gli indovini hanno avuto poteri superiori a quelli dei governanti: molti nostri contemporanei, pur vivendo in una società contraddistinta dai più avanzati mezzi tecnologici, sono incredibilmente disponibili nei confronti dell'astrologia, degli oroscopi, ecc.

C'è da dire che le previsioni sbagliate sono abbastanza innocue in tutti i campi, all'infuori di quello merceologico: infatti per un governo, per un imprenditore, un errore nelle previsioni di quello che è opportuno produrre, della quantità e della qualità delle merci, può avere conseguenze gravissime, fino alla distruzione di risorse economiche, al fallimento di industrie, alla disoccupazione di lavoratori.

A questo proposito, occorre ricordare il grande peso che hanno avuto nel passato i monopoli e la lotta per la loro eliminazione (1): è chiaro che la lotta ai monopoli presuppone una previsione ottimistica sulla rimozione delle condizioni che li hanno determinati.

Se si fa riferimento al periodo più caratteristico per quanto ci interessa, cioè a quello della rivoluzione industriale, si constata che proprio in questo periodo sono iniziate le lotte contro i monopoli, che davano profitto --- e soprattutto potere --- a chi li deteneva. Tale potere si manifestava non solo come manovra del mercato dei prezzi, ma anche come creazione o conservazione di determinate condizioni sociali, economiche e politiche nei paesi detentori delle materie prime (che nella maggior parte dei casi erano ridotti allo stato di colonie delle grandi potenze). Così, fino ai primi anni del Novecento, i monopoli che governavano il commercio mondiale erano specialmente quelli relativi allo stagno della Bolivia, al nitro del Cile (2), allo zolfo siciliano (3), alla gomma brasiliana, all'indaco dell'India (colonia inglese fino al 1947)(4), alla canfora del Giappone, ed inoltre allo zucchero di canna, al caffè, the, cacao.

A quel tempo era difficile prevedere quali monopoli avrebbero potuto mantenersi e quali erano destinati a scomparire, in quanto non si sapeva (né si poteva sapere) quali prodotti naturali (ed in quale misura) avrebbero potuto essere sostituiti da prodotti ottenuti artificialmente o per sintesi. Inoltre le conoscenze geologiche ed il livello tecnologico erano ancora ad uno stadio troppo primitivo, per consentire di individuare nuovi giacimenti, o di attuare tecnologie capaci di estrarre in modo economico i metalli dai minerali poveri: né si poteva prevedere la sostituzione, nell'uso pratico, di un materiale con un altro.

Tuttavia la scomparsa, nei primi decenni del Novecento, della maggior parte dei monopoli sopra indicati, consente di affermare che sono da considerarsi errate tutte quelle previsioni che ritengono che i sistemi monopolistici possano conservare stabilmente situazioni di supremazia economica: il progresso tecnologico è infatti in grado di far scomparire sempre più rapidamente eventuali future situazioni monopolistiche.

È comunque sempre arduo stabilire se una previsione è giusta o è errata, per cui è molto importante predisporre criticamente le previsioni di carattere merceologico, ed è interessante cercare di chiarire il processo che porta alla loro formulazione. L'esame dei piani dei governi e delle industrie e, più in generale, quello della storia delle merci e delle macchine, offre numerosi esempi che invitano a meditare. Le previsioni formulate in passato possono distinguersi in tre categorie:
1. quelle considerate «attendibili», che si sono poi realizzate e che quindi si sono rivelate giuste;
2. quelle considerate «attendibili» e che si sono invece rivelate errate;
3. quelle considerate «sbagliate» dalla cultura dominante di quel tempo o dai committenti, che si sono invece realizzate.

Mi limito a riportare alcuni esempi. Un’interessante previsione, considerata in genere «attendibile», che si è poi puntualmente realizzata, è stata quella del presidente Kennedy che, nel 1959, promise agli Stati Uniti che entro dieci anni un uomo avrebbe messo piede sulla Luna: l'attendibilità della promessa era basata su previsioni corrette, tanto è vero che il primo sbarco degli astronauti americani sulla Luna si verificò prima che fossero trascorsi dieci anni, precisamente il 21 luglio 1969. Su questo stesso esempio, una previsione diversa è quella che mi è stata segnalata dal suo stesso autore, Giorgio Nebbia. Nebbia mi ha ricordato che nel 1948, ancora da studente (quando già frequentava l'Istituto di Merceologia dell'Università di Bologna), aveva cominciato ad occuparsi degli aspetti chimici dei nuovi sistemi di propulsione a razzo e, dal 1951 al 1958, pubblicò una rassegna bibliografica su questo argomento nella Rivista «Coelum», diretta dal Prof. Guido Horn d'Arturo, dell'Osservatorio Astronomico dell'Università di Bologna.

In questa sede, Nebbia ebbe occasione di commentare, in un articolo apparso sul fascicolo novembre-dicembre di Coelum (5), il lancio del primo satellite artificiale sovietico, avvenuto il 4 ottobre 1957 (cioè due anni prima delle affermazioni di Kennedy): un evento che suscitò grande emozione e che rappresentò l'inizio ufficiale dell'era spaziale.

Nebbia scrisse che si trattava di «un evento di eccezionale importanza nella storia dell'umanità», e proseguiva: «Dopo il lancio del satellite artificiale, sono sembrate rinnovate le speranze che possano essere vicine altre imprese extraterrestri, come i viaggi sulla Luna o addirittura i viaggi interplanetari. Queste estrapolazioni vanno prese con cautela. Alcuni Autori hanno affermato che il viaggio Terra-Luna e ritorno non si farà mai ... Per il ritorno dalla Luna sarebbe necessario, secondo i più ottimisti, installare sulla superficie lunare una fabbrica di propellenti per il razzo di ritorno. Tutto questo sembra molto ipotetico, per cui qualsiasi annuncio di viaggi extraterrestri, al di là di un volo senza ritorno sulla superficie lunare, debbono essere considerati con estrema cautela, almeno allo stato attuale delle conoscenze».

Queste previsioni si sono rivelate errate: alcuni uomini, come è stato detto, sono andati e tornati dalla Luna nel luglio 1969, le esplorazioni degli spazi interplanetari con veicoli non abitati hanno portato a conoscere imprevedibili caratteristiche dei pianeti e dei corpi celesti: lo spazio intorno alla Terra è ora addirittura affollato di satelliti artificiali.

Nebbia mi ha detto che ancora oggi si domanda perché si espresse in quel modo pessimistico, nel 1957: perché in quel momento non erano disponibili le conoscenze su mezzi tecnici adeguati ? perché solo il successo del volo del 1957 spinse Stati Uniti ed Unione Sovietica ad incoraggiare la ricerca e le innovazioni che avrebbero consentito il viaggio di andata e ritorno degli astronauti dalla Luna ? perché personalmente considerava l'impresa meno utile rispetto alla soluzione di problemi tecnici più urgenti per l'umanità ? Questi dubbi mettono in evidenza che sempre --- nelle previsioni --- ha una certa influenza un fattore di carattere emozionale, che può interferire in valutazioni di carattere puramente tecnico.

Un esempio di previsione, basata su presupposti tecnici, che non era stata accettata e che si è invece realizzata, è quella relativa allo zolfo siciliano. È noto che intorno alla fine del secolo scorso, tutta la produzione di zolfo --- materia prima di crescente importanza nell'industria chimica --- era praticamente nelle mani di produttori siciliani. La dissennata politica di monopolio, esercitata dai Borboni nella prima metà del 1800, aveva portato a continue oscillazioni nella produzione e nei prezzi dello zolfo, con gravi conseguenze per gli acquirenti, cioè le industrie europee ed anche americane, che producevano acido solforico. In questo clima, venne istituito, nel 1886 un Consorzio fra alcuni produttori siciliani e industriali inglesi, la «Anglo-Sicilian Sulphur Company», per una regolazione del mercato e della produzione.

A partire dal 1880, gli industriali della soda Leblanc avevano adottato delle tecniche per recuperare lo zolfo dal solfuro di calcio, il sottoprodotto nel quale finiva tutto lo zolfo contenuto nell'acido solforico impiegato nel procedimento Leblanc. Questo recupero risolveva contemporaneamente il problema dell'inquinamento da idrogeno solforato (che si liberava per decomposizione del solfuro di calcio) e del rifornimento di zolfo (o di anidride solforosa) utilizzabile direttamente, al posto dello zolfo siciliano, da parte degli stessi industriali di acido solforico. Nello stesso tempo venivano messi a punto i forni per la produzione di anidride solforosa dalle piriti spagnole, per cui le piriti divennero materia prima per la produzione di acido solforico, in concorrenza con lo zolfo siciliano.

Intanto, l'occupazione della Sicilia da parte dei Piemontesi e la successiva unificazione del Regno d'Italia avevano provocato ulteriori crisi nella produzione di zolfo, contraddistinta da strutture e condizioni arretrate (sistema dei calcaroni, condizioni durissime di lavoro nelle miniere, disorganizzazione nei mercati).

Già nel 1886 alcuni cercatori americani di petrolio avevano scoperto, nel sottosuolo della Louisiana, dei giacimenti di zolfo puro: si trattava di «lenti» di zolfo, a poche decine di metri di profondità, in terreni alluvionali impregnati d'acqua. Vari imprenditori ed inventori americani si cimentarono nel tentativo di estrarre questo zolfo, ma tutti i tentativi di raggiungere i giacimenti dalla superficie, attraverso strati molto permeabili pieni d' acqua, per diverso tempo fallirono. La soluzione venne offerta dall'invenzione, da parte dell'Ing. Frash, della nota «sonda» (6), la quale raggiungeva il giacimento, faceva fondere lo zolfo per iniezione di vapore surriscaldato, ed aspirava in superficie lo zolfo fuso. L'idea, che in sé sembrava arrischiata, ebbe successo anche grazie alla disponibilità sul posto di petrolio a basso prezzo. La prima produzione di zolfo Frash si ebbe, su scala commerciale, nel 1903.

La voce dell'esistenza dei giacimenti americani di zolfo circolava naturalmente anche fra i produttori siciliani, che nel 1900 inviarono negli Stati Uniti un loro specialista, l'Ing. Baldacci, per studiare la situazione e gli eventuali pericoli della concorrenza dello zolfo americano a quello siciliano. L'Ing. Baldacci, già nel 1901 (7), riferì che lo zolfo americano avrebbe potuto essere estratto a costi così bassi, da potersi presentare nei porti europei con un prezzo di 40 lire per tonnellata (rispetto alle 55 lire/ton dello zolfo siciliano).

I produttori siciliani non credettero a queste previsioni: effettivamente, invece, i primi carichi di zolfo americano sbarcarono a Marsiglia nel 1905, e la compagnia anglo-siciliana zolfo si sciolse nel 1906. Nello stesso anno venne creato un Consorzio protezionistico, che comunque non riuscì ad impedire, nei cinquant'anni successivi, il costante declino e poi la fine dell'industria siciliana dello zolfo (attualmente lo zolfo siciliano rappresenta solo il 2 % della produzione mondiale).

Nel caso della previsione dell'Ing. Baldacci si può dire che il tecnico aveva correttamente previsto le conseguenze della comparsa sul mercato dello zolfo americano, ma l'incredulità dei suoi committenti impedì loro di agire, attuando accordi, perfezionamenti tecnici, ecc. In conclusione, appare evidente che l'estrazione dello zolfo siciliano avrebbe dovuto essere abbandonata verso il 1905-1906: l'aver continuato la produzione per oltre un decennio (fino a dopo la prima Guerra Mondiale) è certamente dipeso da previsioni errate, basate su fattori non tecnici; tutto ciò ha causato, in questo settore, notevoli perdite economiche e squilibri di vario tipo (8).

Anche per quanto riguarda l'attuale mercato mondiale dello zolfo, mentre fino a non molti anni fa era stata fatta una previsione su un prossimo esaurimento dei suoi depositi, si sta ora verificando la tendenza ad una crisi da sovrapproduzione. Già dopo il 1968 infatti gli stocks presso i produttori hanno cominciato ad aumentare; si sono tenute a Montreal, nel 1971, riunioni per controllare la produzione mondiale di zolfo, allo scopo di stabilizzare il mercato e riportare i prezzi a valori realistici, ma il piano progettato è stato, per vari motivi, abbandonato.

Certamente la situazione del mercato dello zolfo si è modificata anche in base alla rapida espansione delle tecniche di recupero dello zolfo dai gas naturali (che ne contengono dal 5 al 15 %) e dagli oli combustibili. Attualmente (l’articolo è stato scritto nel 1983), nei Paesi occidentali, l'80% dello zolfo è di recupero da queste fonti. Tale recupero potrebbe nel futuro arrivare a fornire quantità di zolfo superiori ai fabbisogni attuali: si avrebbe così un ulteriore aumento delle scorte ed il prezzo dello zolfo dovrebbe diminuire, fino a che non sarebbe più conveniente ottenerlo con il processo Frash e forse neanche dalle piriti.

Una previsione relativa ad un aspetto produttivo più recente è quella della situazione siderurgica italiana. Intorno al 1970, alla richiesta di nuovi posti di lavoro da parte delle popolazioni calabresi, il governo italiano rispose proponendo la costruzione a Gioia Tauro del quinto centro siderurgico italiano a ciclo integrale (da aggiungersi a quelli di Genova, Piombino, Bagnoli, Taranto). Si svilupparono varie polemiche sui vantaggi che l'insediamento avrebbe potuto assicurare, rispetto alla conservazione dell'agricoltura esistente, e sulle possibilità di collocamento sul mercato dell' acciaio prodotto dal nuovo stabilimento; nonostante i molti dubbi espressi su tale costruzione, i lavori sono stati iniziati, la zona di Gioia Tauro è stata «spianata» ed è stato costruito un grande polo industriale, con le relative infrastrutture di banchine e di moli.

A mano a mano che i lavori procedevano, la situazione internazionale dell'acciaio si deteriorava: nuovi impianti siderurgici sorgevano nei Paesi del terzo mondo --- vicino alle miniere ed alle fonti di energia a basso prezzo --- e la tendenza ai consumi di acciaio rallentava nei Paesi industrializzati. Ancora nel 1979, a sei anni di distanza dall'inizio della crisi delle materie prime, il ministero dell'Industria pubblicava un «Programma finalizzato: industria siderurgica», nel quale si continuava a sostenere l'opportunità della costruzione del centro siderurgico di Gioia Tauro, sulla base delle seguenti previsioni di consumi di acciaio totale: nel 1981 da 23 a 24,8 milioni di tonnellate; nel 1985 da 27 a 30 milioni di tonnellate.

I consumi italiani effettivi totali di acciaio, dal 1980 in poi, sono oscillati fra 20 e 22 milioni di tonnellate, una quantità di gran lunga inferiore a quella prevista appena pochi anni prima: è stato finalmente riconosciuto che il progetto di costruire un centro siderurgico a Gioia Tauro era irragionevole.

Pertanto il centro siderurgico di Gioia Tauro non è stato costruito, ma nel frattempo era stata distrutta una fertile pianura agricola. Per dare giustificazione ad una scelta errata, si continua a pensare ad altre utilizzazioni sbagliate per il porto che è stato costruito: la realizzazione di un terminaI carbonifero (a centinaia di chilometri dai possibili centri di utilizzazione del carbone !. .. ), la costruzione di una grande centrale termoelettrica a carbone (a centinaia di chilometri di distanza dai consumatori di elettricità ...).

Un esempio di previsione che non era stata ascoltata, ma che attualmente viene riconsiderata, è quella di Ciamician relativa all 'energia solare. Giacomo Ciamician, Professore di Chimica alla Università di Bologna, agli inizi del 1900 condusse una serie di ricerche di fotochimica, studiando gli effetti della luce solare su alcune reazioni chimiche, anche in vista di una migliore comprensione del fenomeno della fotosintesi e di una utilizzazione industriale dell' energia solare.

Tali ricerche ebbero grande successo, e nel 1912 Ciamician fu invitato a tenere una delle relazioni principali all 'VIII Congresso Internazionale di Chimica Applicata a Washington ed a New York. La sua conferenza «La fotochimica del futuro» contiene alcune anticipazioni veramente interessanti (9).

Scrive Ciamician: «Dove la vegetazione è abbondante, la fotochimica può essere lasciata alle piante e, con colture razionali, la radiazione solare può essere usata per scopi industriali. Nei paesi desertici, inadatti a colture, la fotochimica può mettere l'energia solare al servizio di fini pratici. Possono sorgere comunità industriali senza fumi e senza camini; foreste di tubi di vetro possono estendersi su grandissime superfici: dentro di essi avranno luogo le reazioni fotochimiche, che finora sono rimaste un geloso segreto delle piante e che l'industria umana può riprodurre con frutti più abbondanti di quelli naturali.

I Paesi tropicali verrebbero così a beneficiare dei risultati della civiltà tecnologica e la civiltà tornerebbe così nelle terre da cui è partita, alla sua origine. E se, in futuro, le riserve di carbone si esauriranno, la civiltà non ne verrà a soffrire, e la civiltà e la vita continueranno, finché il Sole splenderà. La nostra nera e nervosa civiltà basata sul carbone, sarà seguita da una civiltà più tranquilla e pulita, basata sull'uso dell'energia solare, e non ne verrà certo un danno al progresso ed alla felicità umana».

Le previsioni di Ciamician anticipavano con grande intuizione una serie di problemi reali: il crescente inquinamento dovuto all'uso dei combustibili fossili, le grandissime possibilità di una fonte di energia rinnovabile, come il Sole, il fatto che i paesi sottosviluppati avrebbero potuto essere privilegiati da un crescente uso dell'energia solare. Eppure, in tutti questi anni, gli interessi industriali e finanziari hanno portato a preferire uno sfruttamento a fondo delle fonti energetiche non rinnovabili, come i combustibili fossili (carbone e petrolio). Nei settanta anni trascorsi dalla conferenza di Ciamician, a varie riprese sono stati condotti studi sull'energia solare (per esempio, negli anni cinquanta e negli anni settanta), ma ogni volta queste possibilità sono state posposte alla continuazione del 'uso di tecnologie e risorse esistenti e meglio conosciute.

La breve rassegna di alcune previsioni, merceologiche e tecniche, che sono risultate errate, si propone di identificare delle linee lungo cui procedere per fare delle previsioni giuste e ragionevoli. È sempre più chiaro che il processo di produzione delle merci e dei manufatti ha un ruolo centrale nella vita economica di ogni Paese. Questa produzione presuppone piani e programmi abbastanza corretti: qualsiasi errore nelle previsioni della quantità e qualità delle merci da produrre si traduce in costi gravosi non solo per gli imprenditori privati, ma per l'intera collettività

La formulazione di previsioni merceologiche corrette richiede prima di tutto una crescente cultura merceologica, non solo nei responsabili tecnici addetti alle previsioni, ma anche nei responsabili delle decisioni a livello politico e finanziario e, infine, nel pubblico in genere. Da questo deriva l'importanza, tante volte sottolineata nei Congressi di Merceologia che si susseguono da oltre vent'anni, della diffusione di una buona informazione ed educazione merceologica nelle scuole e nelle Università, invertendo una tendenza che cerca di emarginare le conoscenze tecniche e merceologiche (a cominciare dall'ambito degli studi economici). Infine, è necessario sviluppare dei meccanismi e delle sedi di previsioni merceologiche, capaci di applicare tecniche appropriate.

Nelle previsioni merceologiche occorre tenere presente che l'ottimismo tecnologico (che porta a ritenere che la tecnica possa risolvere tutto) è pericoloso e nocivo quanto il pessimismo, che porta a ritenere che la comunità umana stia continuamente correndo verso qualche catastrofe: ottimismo e pessimismo sconsiderati sono poi altrettanto nocivi quanto la tendenza fatalistica a ritenere che gli attuali orientamenti debbano continuare nel futuro senza modificarsi. La storia della tecnica e della produzione delle merci ci mostra invece che continuamente vi sono innovazioni (talvolta positive e talvolta negative), i cui segni possono apparire in forma molto labile, per assumere improvvisamente effetti innovativi rapidissimi.

NOTE

(1)  Zischka A., “La scienza contro i monopoli”, Milano, Bompiani, 1937.

(2)  Lo Forte G., «Le nuove risorse dell'umanità», La Scienza per tuti, 16, (1), 24 (1909).

(3) Vanutelli C., “Zolfo”, Milano, Industria Mineraria Ed., 1931.

(4) Molinari E., «L'indaco artificiale», La Scienza per tutti, 16, (17), 259-261 (1909).

(5) Nebbia G., «4 Ottobre 1957», Coelum, 25, (11-12), 161-163 (1957).

(6) Frash H., Industriai Engineering Chemistry, 4, 134 (1912).

(7) Baldacci, “Il giacimento solfifero della Louisiana”, Roma, Tip. Bertero, 1901.

(8)  Testoni G.,”Alcune notizie sugli zolfi siciliani”, Soc. Industriali e commercianti della Provincia di Bologna, Coop. Tip. Mareggiani, Bologna, 1913; «Lo zolfo in Italia, Atti del Convegno Nazionale dello zolfo”, Ente Zolfi Italiani, Palermo, 24-26 marzo 1961.

(9) Ciamician G., «The Photochemistry of the Future», Scientia, 12, 154-170 (1912).


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